
Se in questi giorni per caso bighellonate distrattamente per il Web, su “Liquida”, potrebbe anche capitarvi sott’occhio un articolo di tale Matteo Grimaldi che come minimo vi farebbe esclamare con stupore “Non mi sembra vero!”, a cominciare dal titolo “Cose che dovremmo tenere bene a mente quando scriviamo: qual è il confine fra dire la verità e diffamare?” e immediatamente sareste indotti ad addentrarvi febbrilmente nella lettura, visto che non potreste non notare un sottotitolo altrettanto eloquente “Fino a che punto è lecito spingersi coi propri pareri? Dov’è che finisce l’opinione e comincia l’insulto? E quando questo diventa punibile?”, che la si possa interpretare come una breve “guida” a sfondo moraleggiante rivolta a “blogger”, giornalisti o sedicenti-tali, scribacchini affiliati a qualche corrente propagandistica o semplicemente vaniloquenti perditempo perennemente in rete, affinché rivedano le loro espressioni verbali prive di freni e censure e si rendano conto dell’estrema pericolosità delle stesse (lo spauracchio è l’art. 525 sul reato di diffamazione)?chi sarà mai questo “cavaliere senza macchia e senza paura” che osa sfidare le ire dei suoi inattaccabili colleghi che vanno avanti imperterriti a riversare in tutti i luoghi deputati e “zone franche” atte a ospitare la chiacchiera, o meglio, la maldicenza, “fiumi di parole”, frantumando a destra e manca reputazioni, carriere, rapporti umani, prestigio, onorabilità sociale di chiunque, per ragioni che a volte ci sfuggono, abbiano deciso di trasformare in zimbello del loro scherno? E Grimaldi, nel “prosieguo”, continua, con le sue note di biasimo a carico dei colleghi e sulla mancanza di senso deontologico ed etico di chi, in generale, scrive sui “social network”, che, a suo avviso, spesso si arrogherebbe “la convinzione di potersi esprimere in assoluta libertà, perché nella rete tutto è permesso e il passo fino a ragionamenti selvaggi e offensivi è più breve di quanto si pensi. Il social-opinionista si carica di un’onnipotenza immotivata che è lui stesso ad attribuirsi, e si convince di non essere soggetto a nessuna regolamentazione, a differenza dei giornalisti… Rilascia pareri non richiesti sugli usi e i costumi di chi dice di conoscere pur non avendolo mai incontrato, né averci scambiato quattro parole direttamente…Forse senza rendersene conto insinua e, in nome del sacrosanto diritto d’opinione, assolve o condanna”, fin qui c’è da rimanere a bocca aperta per come ci si ritrova in queste parole, vien voglia di scrivere all’autore di tutte queste pillole di saggezza un bel “Sei tutti noi!”, eleggendolo a nostro portavoce, i trasporti estatici, tuttavia, non varcano le prime righe del passaggio successivo “Infine (ndr il soggetto è sempre il social-opinionista) completa l’opera con un clic pubblicando la sua menzogna che, di bacheca in bacheca e di tweet in tweet, si moltiplica fino talvolta a raggiungere i media nazionali … E a rovinare nomi, immagini e carriere. Giustamente? (Nel caso di Valerio Scanu: Sì!) Ingiustamente? (Nel caso di Marco Carta: No!)” e qui tutti i nodi si sciolgono e arriva improvviso, stridente, stonato, dissonante, il tonfo, la frase-killer rivelatrice, ma non lo poteva dire prima? Perchè non qualificarsi fin dal primo istante come il solito articolista in cerca di “entrate”, che estrae fuori dal mazzo sempre gli stessi nomi, usando loro un trattamento vessatorio o comunque facendo leva su provocazioni, appositamente per garantirsi fulmineamente, ne è convinto, anche se ultimamente l’irresistibile “tam tam” non ha più lo stesso effetto, l’invasione di battaglioni di “fans” inferociti e assetati di vendetta pronti a battersi all’ultimo sangue per i loro campioni, anzi, all’ultimo commento? E che diamine, il trucco lo conoscono anche i gatti!
E che ci voleva poi tanto, per arrivare al punto (ossia tirare in ballo i due cantanti per ottenere un po’ di visibilità)? Tutte quelle digressioni, quel discorso disorganico su soprusi e ingiustizie, l’inutile sermone introduttivo rivolto a chi scrive in rete irresponsabilmente e anche le esortazioni generali, in chiusura, a ponderare sul “peso delle parole, Grimaldi poteva anche risparmiarseli, dal momento che si è dimostrato lui stesso il primo a “predicare bene e razzolare male”, non esitando, per fini suoi, a discriminare due ragazzi, legittimando e implicitamente approvando, con le sue affermazioni, l’operato di chi, nel regno del virtuale, passa il tempo a distruggere rispettabilità e “carriere”, ma se si tratta di Scanu e Carta – e solo loro, badate bene –, è questo il senso, “nun è peccato”, anzi, è quasi dovuto. Azz … alla faccia di tutti gli alti propositi dichiarati in partenza …. Ma ci faccia il piacere!
[Articolo a cura di Fede]
Mi piace:
Mi piace Caricamento...