L’edizione n. 31 del festival della canzone classica napoletana quest’anno ha fatto le cose in grande, andando in onda (sabato 03/08/2013) direttamente dalla cornice suggestiva del Maschio Angioino, soddisfatto il direttore artistico, Pino Moris, ma con qualche apprensione sul perpetuarsi della manifestazione: “Purtroppo la canzone classica … qui a Napoli non ha futuro. Niente scuole, né musei … niente iniziative di promozione locale …Temo che quando smetterò di farmene carico io, su queste melodie calerà il silenzio.” La serata, nell’insieme, si è svolta nei binari del consueto e del “già ampiamente visto”, anzi, sentito, fra i partecipanti era possibile riconoscere più categorie:
– Gli “Over”, la palma d’oro, in questo caso, spetta a Peppino di Capri, che canta “”I te vurria vasà”, poi una sua canzone inedita, con ausilio di megafono “A’ voglia e’ cantà” e la scontata “Nun è peccato” (l’alternativa poteva essere solo “Champagne”) e invece “è peccato” indossare su pantaloni e scarpe sportivi bianchi una giacca di raso verde prato, non migliore di quella da prestigiatore, damascata, con lustrini e quel che è peggio, viola (ma come?nel mondo dello spettacolo?i suoi colleghi si saranno coperti gli occhi come il conte Dracula davanti a una croce) con tanto di papillon, degna del miglior Silvan, sfoggiata dalla “star” locale, l’attempato tenore leggero Bruno Venturini, la cui voce, però, “tiene” in “Munastere e S.ta Chiara”, altrettanto dicasi per l’altro suo collega Antonello Rondi in “Tu ca nun chiagne”, Nino D’Angelo, seduto sulle scale che portano alla platea, canta un suo brano dedicato alla città, nessun commento possibile, Enzo Gragnaniello in “Passione” si addormenta sul microfono e infine Gigliola Cinquetti, voce ormai appannata (e purtroppo non solo quella) in “Napulè” sbaglia tutto, dall’accento alla resa dei sentimenti e significato del testo all’abito, rosso a manica lunga, con incrocio a scialle sul petto, molto anni ’40, ad imitazione di “Gilda” e anche la chioma di lunghi capelli disordinati, come all’epoca di “Zingara” non è più indicata, dovrebbe pensare più spesso che il “Non ho l’età” arriva per tutte. Per ultima, una delle ospiti d’onore, Silvana Pampanini, osannata diva anni ’50, scambia Pupo per la badante moldava, infatti anche per fare appena cinque gradini (tanti erano) si deve far sorreggere di peso da lui e più tardi dal premuroso Biagio Izzo, dispiace non scorgere più lo smalto di un tempo, ma perché ostinarsi a voler “apparire” quando una non regge più?”Over fino a un certo punto” Lina Sastri, una delle “grandi appassionate” del nostro teatro e cinema, canta un “Core ingrato” non fedele all’originale, che non è tutto sussurri, la preferiamo come attrice, lì è insuperabile.
– “Quelli che non riescono a sfondare”: sono da accomunare, hanno voce, capacità interpretative, grinta, sono trasmessi in tv, ma il pubblico non si riesce ad affezionare a loro: Karima, un po’ in sovrappeso, in “Tu sì na cosa grande”, Alexia in “Tu vuò fa l’americano”, Sal da Vinci in “O’Sarracino” e Emanuela Villa in “Voce e notte”.
– La “bravina”: Simona Molinari elegante e maliziosa con garbo nel vestire, canta con altrettanta grazia e “verve” la celeberrima “Maruzzella”, compatibile con il suo stile canoro.
– Le “fuoriclasse”: applausi prolungati per il personalissimo “Resta cu’mme” di Anna Oxa, inimitabile “mattatrice” del palcoscenico sempre alla ricerca di nuove sfumature della voce. Strepitosa Amii Stewart, maestra di eleganza, in abito bianco con corpetto a “guepière”, intarsi di “voile” trasparente e strascico, regala agli spettatori un “Caruso” struggente, al punto da commuoversi lei stessa.
E’ proprio sulla prima uscita sul proscenio della Stewart, assieme a tutti gli altri artisti, che Pupo commette una “gaffe” epocale, di quelle che non si dimenticano, accennando all’affetto della cantante americana per Napoli dice, infatti “Come esiste il mal d’Africa esiste il -mal di Napoli-”, che cosa ha detto?il “Mal di Napoli”?ma censuratelo, santa pace, che non gli escano altri spropositi simili!I dominatori francesi chiamavano “mal de Naples” una grave malattia infettiva a trasmissione sessuale (sì, proprio quella, pensate al peggio), i cui primi casi si erano verificati in città dopo l’occupazione francese, invece i Napoletani lo chiamavano “mal francioso” (ndr la fonte è uno scritto di Girolamo Fracastoro del 1530).
Sarebbe interessante scoprire se Pupo si è attenuto a un copione o è andato “a braccio”, certo, la seconda ipotesi sarebbe decisamente meno grave, comunque ….
[Articolo a cura di Fede]